lunedì 26 settembre 2011

Manipolazione emotiva!!!!!

Manipolatori emotivi che giocano con i nostri sentimenti


I manipolatori emotivi sono persone che bisogna imparare a conoscere e dalle quali bisogna stare alla larga: i manipolatori emotivi. In un articolo in inglese trovato grazie a StumbleUpon vengono individuati 8 indizi che ci aiutano a riconoscere questo tipo di persone con seri problemi psicologici. Ecco la mia traduzione.
1.Ti fanno passare la voglia di essere onesto. Se fai un’affermazione, viene rigirata. Per esempio, potresti dire: ”Mi dispiace molto che hai dimenticato il mio compleanno“. Ti potrebbero rispondere in questo modo: ”Mi rattrista pensare che secondo te io potrei dimenticarmi del tuo compleanno, avrei dovuto dirti dello stress che subisco in questo periodo ma come vedi non ho voluto coinvolgerti. Hai ragione, avrei dovuto mettere da parte questa sofferenza e concentrarmi sul tuo compleanno. Mi dispiace“. Potresti vedere anche delle lacrime. Anche se mentre senti le parole hai la sensazione angosciante che essi non siano affatto dispiaciuti, a questo punto non sai più cosa dire. Se ci provi, ti trovi a fronteggiare la loro ansia. Ogni volta che subisci questa sceneggiata, non cedere. Non ti preoccupare, non accettare scuse insulse: se percepisci la falsità forse è proprio così. Regola numero uno: quando hai a che fare con un manipolatore emotivo, fidati del tuo intuito e delle tue percezioni. Una volta che un manipolatore trova uno dei suoi polli, lo aggiunge alla lista e dovrà sempre sorbirsi questa immondizia.
2.Vogliono far credere di essere dei volenterosi aiutanti. Se tu chiedi a loro di fare qualcosa, la maggior parte delle volte sono d’accordo. Ma appena dici “grazie“, iniziano a sospirare o a dimostrare senza usare parole che non hanno proprio piacere nel fare quella cosa. Se provi a farglielo notare, ti diranno in tutti modi che ti sbagli e che loro vogliono aiutarti. Questo fa impazzire le persone ed è la loro specialità. Regola numero due: se un manipolatore emotivo ti dice di sì, tieni conto solo della sua risposta verbale. Non fare caso alle altre espressioni. Fa’ in modo che ti dicano in faccia che a loro non fa piacere aiutarti, oppure indossa un paio di cuffie, vatti a fare un bagno rilassante e lasciali recitare il loro teatrino.
3.Negano di aver detto una cosa che tu ricordi bene. Se stai vivendo una relazione che ti porta a desiderare di registrare le conversazioni, stai sperimentando una manipolazione emotiva. Si tratta di persone esperte nel ribaltare, razionalizzare, giustificare e spiegare le cose. Sanno mentire in un modo così raffinato che potrebbero chiamare “bianco” il nero, e sostenere in maniera così persuasiva le proprie convinzioni a tal punto da farti dubitare dei tuoi sensi. A lungo andare questo può alterare il tuo senso della realtà. La manipolazione emotiva è pericolosissima. Può essere sconcertante per loro vederti prendere nota durante le conversazioni: digli che per te è un periodo in cui tendi a dimenticare le cose e che hai bisogno di segnarle. Questo fatto ti dovrebbe far capire che è meglio stare alla larga: a questo punto il campanello d’allarme dovrebbe suonare con insistenza.
4.Sono specialisti nel far sentire in colpa. Ti possono far sentire in colpa se parli o se non parli, se sei sensibile o se non lo sei, se ti preoccupi o se non ti preoccupi abbastanza. Possono far leva su qualunque cosa per acuire il tuo senso di colpa. I manipolatori emotivi raramente manifestano i loro desideri o bisogni apertamente, riescono ad ottenere ciò che vogliono in altri modi. La colpa è uno di questi, ma ce ne sono pure altri, magari meno potenti, perché le persone in genere sono disposte a tutto pur di ridurre il proprio senso di colpa. Un’altra potente emozione che viene usata è la compassione. Un manipolatore emotivo fa la vittima. Manifestano un bisogno di aiuto, cure e attenzioni. Raramente combattono le proprie lotte o fanno da soli il lavoro sporco. La cosa buffa è che quando tu fai qualcosa per loro (una cosa che loro non ti avevano espressamente chiesto), cambiano d’espressione e dicono che sicuramente non volevano e non si aspettavano che tu facessi qualcosa! Impegnati a non combattere le lotte di altre persone e a non fare il loro gioco. Una buona risposta è “Ho piena fiducia nella tua capacità di far riuscire questa cosa”; controlla la risposta e il tuo rivelatore di baggianate.
5.Giocano sporco. Non affrontano le cose direttamente. Parlano dietro le spalle e fanno in modo che altri ti dicano le cose che loro non hanno il coraggio di dire. Sono degli aggressori passivi, nel senso che trovano modi subdoli per farti capire che non approvano quello che fai. Dicono quello che secondo loro ti fa piacere sentire, ma poi non compiono azioni per sostenerlo. Per esempio, nel caso tu volessi tornare all’università, ti direbbero una cosa del genere: ”Tesoro, mi fa piacere che tu voglia riprendere gli studi, sappi che ti sosterrò“. Poi la sera prima dell’esame, mentre sei al tavolo che studi, compaiono alla porta i loro amici per giocare a poker, i bambini piangono, la TV urla e il cane vuole uscire. Il manipolatore se ne sta seduto tranquillo e ti guarda stranito. Prova a dirgli qualcosa e ti dirà: ”Oh, non pretenderai mica che il mondo si fermi perché tu hai un esame, amore!“ A questo punto puoi piangere, gridare o strozzarlo/a: solo quest’ultima azione ha dei benefici a lungo termine, ma ti porta dritto in galera.
6.Se hai il mal di testa, loro hanno un tumore al cervello! Non importa quale sia la tua situazione, il manipolatore l’ha già passata o la sta vivendo, e pure 10 volte peggio. E’ difficile avere un rapporto alla pari con loro perché dirottano la conversazione e spostano l’attenzione su loro stessi. Se glielo fai notare, si offendono o si lamentano, e ti chiamano “egoista”, o affermano che sei tu quello che vuole sempre essere al centro dell’attenzione. Magari sai che non è così, ma ti trovi nell’impossibilità di dimostrarlo. Non perderci tempo, non è detto che stiano peggio di te.
7.Riescono in un modo o in altro ad influenzare le emozioni di chi gli sta intorno. Quando un manipolatore è triste o arrabbiato, tutte le persone intorno a lui lo sono. Istintivamente gli altri cercano di riportare un po’ di serenità, e la via più breve è cercare di far sentire meglio il manipolatore, cercando di porre rimedio a ciò che per lui è sbagliato. A furia di stare con una persona del genere, sarai così coinvolto e invischiato che ti dimenticherai che anche tu hai dei bisogni: abbandona il manipolatore, tu hai i tuoi problemi e i suoi stessi diritti.
8.Non si riesce a metterli davanti alle conseguenze delle loro azioni. Non si ritengono responsabili di sè stessi o del proprio comportamento, sono sempre gli altri che fanno del male a loro. E’ facile riconoscere un manipolatore emotivo, se rivela prematuramente dettagli molto personali e tu provi pena per lui. All’inizio del rapporto ti sembrerà di trovarti di fronte ad una persona sensibile, emotiva e magari vulnerabile. Credimi, un manipolatore emotivo è vulnerabile quanto un cane rabbioso, e con lui ci saranno sempre problemi e crisi da superare.

VIOLENZA PSICOLOGICA














Psicologia







Donna







QUANDO LA DONNA VIENE SVALORIZZATA E ISOLATA:
ASPETTI DELLA VIOLENZA PSICOLOGICA

Capire cosa sia la violenza psicologica su una donna rimane ancora oggi un tema arduo da
affrontare: nell'immaginario collettivo la violenza viene ancora identificata soltanto con quella fisica o
sessuale, dove "violare" significa prevaricare i confini del corpo, abusare di quello spazio vitale che
delimita l'io dal tu.
Eppure la stessa violazione è ancor più facile da attuare a livello psichico: infatti non essendo questa
esplicita non presenta sintomi abbastanza evidenti da poter essere facilmente individuata neanche
dalla vittima stessa.
Da un rapporto dell'ISTAT del 2007 risulta in effetti che:7.134.000 donne hanno subito o subiscono
violenza psicologica di cui le forme più diffuse sono l'isolamento(46,7%), controllo(40,7%),
svalorizzazione(23,8%). Di queste il 43,2% ha subito violenza dal partner attuale, di cui 3.477.000 l'ha
subita sempre o spesso, 1.042.000 hanno subito oltre a quella psicologica anche violenza sessuale e
fisica.
La violenza psicologica agisce talmente in profondità che i sintomi, quali perdita dell'autostima, senso
di inutilità, depressione, malessere generalizzato, ansia, attacchi di panico, vengono sottovalutati o
annoverati alle cause più disparate. Infatti è proprio l'incapacità di dare un nome a questo senso
generale di disagio che procura la maggiore sofferenza e alimenta i sensi di colpa una volta che la
vittima ne sia divenuta cosciente: la violenza può avere tante forme più sottili ma non per questo
meno dannose.
Tutti quei comportamenti che minano l'autostima, la dignità personale, la voglia di vivere sono
comportamenti violenti, anche se non comportano un danno fisico. Ci sono parole "non vali niente",
"non sei capace", comportamenti ( la minaccia, il silenzio che evade le risposte e la comunicazione, la
derisione, il ricatto, la privazione della libertà, la provocazione continua, l'offesa, la disistima) che
nessuna legge punisce e che possono uccidere psichicamente una persona o almeno ferirla in modo
grave e spesso irreversibile.
Solitamente la violenza psicologica accompagna quella fisica ma può anche essere totalmente
sconnessa da quest'ultima, in entrambi i casi il messaggio che viene veicolato alla vittima è che essa è
un oggetto privo di valore.
Da cui la parola "svalorizzare": se pensiamo per un attimo alla definizione della parola
"valorizzazione", il dizionario recita più o meno così: consentire ad una persona di esprimere
completamente le proprie qualità, capacità e simili"; partendo da questo il suo esatto contrario
sarebbe: non consentire ad una persona di esprimere completamente le proprie qualità, capacità e
simili"..
A questo punto la domanda che dovremmo porci è: come può avvenire un tale processo? Come si
può rendere una donna vittima di tale forma di violenza? Come si può "non consentire"?
Strettamente connessa alla violenza da svalorizzazione è l'isolamento. Esso di fatto è sia il fine sia il
mezzo che prepara e permette il perpetuarsi della violenza sulla donna, in quanto l'uomo inizia a
screditare la donna tra amici e parenti, a litigare e far litigare con loro esprimendo continuamente
pareri negativi su quanti stanno vicino alla partner. Lo scopo è quello di fare in modo che lei non abbia
la possibilità di confidarsi con nessuno, cosicché lui possa agire il suo controllo in modo indisturbato.
Infatti una volta rimasta sola la donna senza nessuna possibilità di confidarsi e soprattutto, vedendo
l'ostilità intorno a lei, comincia a insinuarsi in lei il dubbio che effettivamente è una persona "cattiva",
che non vale niente: se tutti l'hanno allontanata un motivo deve pur esserci!
Ma le modalità violente arrivano ad essere ancora più subdole, facciamo un esempio: il partner manda
spesso messaggi espliciti usando l'aggressione diretta, "sei un'incapace", "non vali niente", oppure
utilizzando il sarcasmo e la derisione, ad esempio farsi beffe delle sue convinzioni, dei suoi gusti,
mettere in dubbio le sue capacità critiche e decisionali, perchè più spesso non si tratta di quello che
viene espresso a livello verbale quanto piuttosto di messaggi contrastanti, nel senso che dice una
cosa e ne esprime un'altra a livello non verbale, mettendo in questo modo la donna in uno stato di
confusione e nell'incapacità a capire cosa sta succedendo. Nè essa ha possibilità di chiarire, perché
l'interruzione della comunicazione è un'altra delle manovre che l'aggressore instaura; facciamo un
esempio: immaginiamo un uomo che non dice alla sua donna in modo esplicito che è brutta e
trasandata, ma le consiglia spesso di rifarsi i capelli, di truccarsi etc,etc: il messaggio che passa è
sempre denigrante, e se la donna cerca di comunicare questa percezione negativa ma latente, il
partner risponde che è troppo emotiva e che travisa sempre quello che lui dice a causa delle sue
insicurezze e che le sue intenzioni erano buone. Subentra così il dubbio( "forse sono davvero una
donna insicura", "probabilmente vedo sempre il negativo delle cose"), il senso di colpa di chi inizia a
subire e con esso un tentativo di perfezionismo per cercare di far in modo che il proprio compagno
cambi gli atteggiamenti o l'opinione che ha su di lei.
Proprio in quanto si tratta di aggressioni indirette, dice la Hirigoyen, è difficile considerarle
chiaramente come tali e quindi difendersene. Per poco che le parole facciano eco ad un'identità
fragile, a una preesistente mancanza di fiducia, vengono incorporate dalla vittima, che le accetta come
verità.
Con queste parole la Hirigoyen sembra tracciare una sorta di profilo della donna-vittima, quindi una
donna insicura, che ha bisogno di continue conferme dagli altri. Infatti solitamente l'aggressore
prende di mira le parti vulnerabili del soggetto, proprio lì dove si annida la sua debolezza. Ma chi non
possiede un punto debole? Chiunque può divenire vittima di violenza, poiché è proprio quello che
diviene l'aggancio per la svalorizzazione, la quale mette a confronto la vittima con le proprie carenze,
traumi irrisolti, incorporazioni negative; queste donne sono forti ma sono vulnerabili perché non
essendo sicure delle proprie capacità devono sempre dimostrare a se stesse di esserlo. Stiamo
parlando di donne naturalmente propense a colpevolizzarsi e proprio a causa di questa colpa
inconscia che cercano in tutti i modi di espiare che diviene facile farle preda di un processo di
autosvalutazione. Freud ci aiuta a capire come la vittima e l'aggressore funzionino secondo lo stesso
meccanismo: una funzione critica molto spiccata, verso l'interno nel primo caso, verso l'esterno nel
secondo. Per dirla in termini freudiani hanno un Super-Io ipertrofico: esso funge da censore e
persecutore interno, sempre pronto a giudicare e a colpevolizzare, frutto, secondo Freud, di divieti
genitoriali troppo rigidi e svalutanti. A causa di questo, le vittime tendono a giustificare il loro
aggressore, e a cercare i punti dove possono aver peccato: se qualcuno può essere così violento ed
arrabbiato con loro, sicuramente è perché hanno fatto qualcosa di sbagliato.
L'immagine socialmente condivisa che viene fuori da questo stato di cose è che, la questione della
violenza sulla donna, si traduce nei termini "dell'uomo mostro e della donna masochista".
Possiamo allargare i contesti di applicazione di tali dinamiche, per esempio dal contesto lavorativo,
alle violenze psicologiche e svalutanti a cui le donne sono continuamente sottoposte.
Partiamo dalla definizione di "molestia sul luogo di lavoro" definita comunemente mobbing:
qualunque condotta impropria che si manifesti attraverso comportamenti, atti, parole o gesti capaci di
arrecare offesa alla personalità,dignità o integrità fisica o psichica di una persona, di metterne in
pericolo l'impiego o di degradare il clima lavorativo. Sempre la Hirigoyen ci ricorda che questa si
instaura quando un soggetto reagisce all'autoritarismo di un capo e rifiuta di asservirsi, che rifiuta un
potere che non condiviso viene imposto. Quindi come possiamo dedurre si tratta di un rapporto
asimmetrico in cui c'è qualcuno che "attivamente" agisce e qualcuno che "passivamente" subisce.
Come il concetto di passivo e attivo rimandano nell'immaginario collettivo a quello di femminile e
maschile questo è ancor più vero in tale contesto: infatti è soprattutto la donna ad essere oggetto di
molestie. La molestia è sempre preceduta da una svalutazione della vittima, garantita e condivisa dal
gruppo… e se ci pensiamo per un attimo, quale bersaglio migliore se non la donna?
Dalle dinamiche tipiche dei gruppi sappiamo che questi tendono a livellare gli individui, mal
sopportano le differenze, peggio ancora se la differenza significa "donna". In determinati ambiti
lavorativi tradizionalmente riservati agli uomini è davvero difficile per una donna farsi rispettare.
I processi che si attivano sono sempre i medesimi. Si destabilizza la donna-vittima veicolando
un'aggressività implicita che mira a svalorizzare le sue competenze, in questo caso professionali, che
se si agganciano a una preesistente mancanza di fiducia, innescano il circolo della violenza: dei
comportamenti mirati dell'aggressore scatenano l'ansia nella donna, il che provoca un atteggiamento
difensivo, causa di nuove aggressioni; infatti l'ansia e la paura di non essere all'altezza provocano
comportamenti disorientati che fungono da alibi per la violenza: "ecco, l'avevo detto che prima o poi
avrebbe dimostrato la sua incapacità".
Lo scopo dell'aggressore è proprio quello di mantenere a tutti i costi un potere che vede minacciato
dalla presenza di una donna. Un potere questo che, inevitabilmente, fonda le sue radici culturali e
sociali sin dalla notte dei tempi e che ha la presunzione di definire ciò che è "maschile" e ciò che è
"femminile".
Facciamo un passo indietro e pensiamo all'infanzia del bambino e della bambina, pensiamo alla
nostra infanzia: sembra che a maschi e femmine attendano 2 diversi destini: la natura sembra aver
assegnato all'uno un posto di potere e all'altra il posto accanto. Ecco gettate la basi di una relazione di
potere che pende, già dagli inizi, da una parte. Possiamo, a ragione, dedurre che la violenza alle
donne è un fenomeno sociale, quindi accettato e condiviso, causato dalla subalternità delle donne
rispetto agli uomini.
Torniamo per un attimo all'infanzia: la bambina viene iniziata da subito alla cura, le viene insegnato a
prendersi cura delle cose e delle persone, a giocare con le bambole, che altro non sono che un
surrogato di una persona: la bambola deve essere vestita, pettinata, fatta mangiare, insomma deve
essere curata. Le viene insegnato a farsi bella perché stasera torna papà, o perché stasera ci sono
ospiti a cena.
Vediamo invece il maschietto: gli viene insegnato a fare le gare con le macchinine, a smontare e
rimontare i giocattoli, gli viene insegnato a fare la guerra con i soldatini, a combattere con i mostri, a
identificarsi con l'eroe dei fumetti di turno; quante volte avete detto da piccoli "voglio essere come
superman" o come Batman….in poche parole viene educato a esprimere liberamente le proprie
tendenze aggressive e competitive, perché altrimenti sarebbe una "femminuccia".
Sono forse degli esempi banali ma volevo rendere il più concreto possibile il concetto di educazione
al femminile e al maschile. Questo per arrivare a dire che la bambina viene educata alla repressione
dell'aggressività, e per contro educata alla relazione, come fondamento della sua vita, come
occupazione fondamentale, prima da moglie, poi da madre. La sua vita, è stato già deciso dalle attese
sociali, sarà caratterizzata dalla dedizione totale a qualcuno.
Questi sono i modelli che si ripetono di generazione in generazione, che tramandati da madre in figlia
mantengono salda questo tipo di "educazione sentimentale".
È importante quindi per la donna liberarsi innanzitutto dallo stereotipo che la virtù principale di una
donna sia la lealtà nei confronti dell'uomo, l'abnegazione di sé, la sottomissione e la pazienza poiché
l'autonomia e l'affermazione di sé sembrano essere le virtù riservate ai maschi.
Ciò che rende un individuo nel senso letterale del termine, cioè "essere non -diviso" è, come
ricordavo sopra, a proposito della valorizzazione come espressione delle proprie capacità, la
costruzione di un'identità propria e autonoma.

Dott.ssa Patrizia Costante